giovedì 20 febbraio 2020

I 3 benefici più importanti dell'Ashtanga Yoga.

L’Ashtanga Vinyasa Yoga è un percorso fisico e mentale che aiuta ogni individuo a migliorare la propria condizione psicofisica, raggiungendo, stadio dopo stadio, la beatitudine.


Il primo beneficio dell’Ashtanga Yoga è il benessere fisico: attraverso il controllo del respiro e i movimenti, lo yoga garantisce un’innegabile azione terapeutica. Gli esercizi di yoga rispettano il naturale allineamento del fisico, riportando il giusto equilibrio in ogni zona del corpo.

Gli Asana e la respirazione agiscono inoltre a livello dei muscoli e delle articolazioni, migliorano la circolazione sanguigna influendo positivamente sulle funzionalità vitali e gli organi interni, con una particolare attenzione alla colonna vertebrale.

Essi agiscono profondamente sul tessuto osseo articolare, sull'apparato respiratorio, digestivo e nervoso, realizzando nel complesso una funzione di prevenzione e regolazione, che con la pratica regolare offrono effetti a lungo termine.

Con l’Ashtanga Yoga inoltre migliora la mobilità muscolare, la colonna vertebrale si fortifica ed in generale si nota un aumento della forza e della resistenza alla fatica. Lo yoga è inoltre particolarmente indicato a chi voglia perdere peso.
Nell’Ashtanga Yoga, asana e respirazione rilassano corpo e mente.


Il secondo beneficio dell’Ashtanga Yoga è il rilassamento mentale: sempre più persone si stanno rivolgendo alle tecniche di yoga per fronteggiare la frenesia dei tempi moderni. Lo yoga, infatti, insegna a concentrarsi, a ridurre l’accavallamento dei pensieri e a riposare la mente, nel silenzio.

La pratica regolare dell’Ashtanga Yoga riduce l’iperattività nervosa, neutralizza lo stress e gli scompensi che ne derivano, aumenta l’energia e la capacità di recupero, combatte l’ansia e la depressione. La respirazione, fondamentale per il benessere fisico, è un aspetto chiave anche nel processo mentale delle emozioni e della sensazione di rilassamento.


Il terzo beneficio dell’Ashtanga Yoga è la spiritualità: lo yoga ed i suoi principi rappresentano una vera e propria filosofia di vita. L'Ashtanga Yoga sviluppa mente, corpo e spirito

Attraverso la corretta postura e la respirazione, il corpo e la mente sono pervasi da una rinnovata energia.

Questa condizione psico fisica di equilibrio e appagamento, consente ad ogni individuo di ritrovare la propria etica e la propria spiritualità. Attraverso le posizioni dell'Ashtanga ogni individuo si sente in comunione con le piante, gli animali e gli oggetti inanimati.

La meditazione ed il silenzio consentono di ritrovare tempo ed energie perdute. La pace interiore è la più naturale conseguenza di un corpo sano e una mente fresca e riposata.

mercoledì 15 gennaio 2020

Ashtanga Vinyasa Yoga secondo l’insegnamento tradizionale di Sri Krishna Pattabhi Jois. Parte Terza: Ujjayi, Bandha e Dṛṣṭi.

Respirazione Ujjayi

Il principio di base del cosiddetto respiro vittorioso, è che l'aria entri ed esca dal corpo attraverso il naso, mentre il suono non dovrebbe provenire dalle narici, bensì dalla gola.
Questo si ottiene chiudendo leggermente la glottide. E’ il passaggio dell’aria forzata attraverso la glottide a produrre il suono ujjayi, un suono simile a quelle delle onde del mare. La durata dei due atti respiratori dovrebbe essere uguale (non dobbiamo infatti confondere questa tecnica con l’omonimo esercizio Ujjayi pranayama). La corretta esecuzione di questa tecnica, riscalda e umidifica l’aria che entra nei polmoni e rafforza il diaframma.
Si dice che gli yogi possano sciogliere la neve usando la respirazione Ujjayi.  In effetti questa tecnica produce calore ed energia, una forza calma ma stabile che si sviluppa dentro il praticante permettendogli di affrontare sfide potenzialmente impossibili a livello fisico con estrema facilità.
Solo ad un livello superficiale, i muscoli trasportano lo Yogi attraverso l’aria. Tuttavia è il respiro che fornisce la necessaria prana (energia) all’esecuzione degli asana. E’ per questo motivo che spesso l’Ashtanga è definito lo “Yoga del Respiro”.

Bandha
Come attraverso i due poli di una pila scorre l’energia, i bandha conducono il respiro attraverso il corpo, lavorando contro la forza di gravità e ottenendo leggerezza. 
I Bandha sono è uno dei paradossi che incontriamo nell’Ashtanga. Benché Bandha significhi "blocco" o "sigillo", il risultato di attivare un bandha è quello di far uscire l'energia nascosta della forza vitale (prana) e di dirigere questo flusso pranico attraverso la rete di 72.000 nadi (canali energetici) del corpo sottile. Imparare a controllare i bandha incrementa il prana e dall'integrazione con il respiro ujjayi si realizza un’alchimia interna. Quando questa alchimia funziona correttamente, l'asana si svela dal corpo interno e il corpo esterno riflette ciò che è stato creato all'interno.

Mula Bandha e Uddiyana Bandha sono le due valvole più importanti nell’Ashtanga Yoga.
Mula Bandha è il bandha della radice (Mula in sanscrito). Esso opera su tutto il ciclo respiratorio, ma soprattutto alla fine della piena espirazione contraendo leggermente i muscoli dello sfintere anale che spostano l'intera regione genitale, compreso il perineo, verso l'interno e verso l'alto. Questa azione di sollevamento del pavimento pelvico è responsabile del supporto interno degli organi digestivi inferiori.
Uddiyana Bandha: Questo è il più dinamico dei bandha, e potrebbe essere tradotto come "volo verso l'alto." Poiché bandha uddiyana si relaziona direttamente al funzionamento del diaframma, svolge un ruolo cruciale nello sviluppo della respirazione ujjayi. Durante l'espirazione, il diaframma si rilassa e si sposta verso l'alto, verso i polmoni per espellere l’aria mentre i muscoli intercostali interni tirano la gabbia toracica verso il basso per completare l'azione. Il risultato è che la parete addominale si ritrae per contenere e proteggere gli organi interni e la parte inferiore della schiena.
Questo controllo addominale fornisce una piattaforma, o base, per il prossimo respiro. Mentre il diaframma si flette verso il basso, i muscoli intercostali esterni sollevano la gabbia toracica, espandendo la regione del torace per consentire che i polmoni raggiungano la loro massima capacità di assorbire aria. Questa è l'azione fisica di Uddiyana bandha, che, una volta perfezionato, è anche un controllo sottile che si traduce in "immobilità" nel basso addome.
Mula Bandha è legato all’espirazione, Uddiyana Bandha all’inspirazione. Entrambi i bandha rimangono quindi continuamente attivati durante l’intera pratica. Ciò è molto difficile da ottenere (e in effetti spesso ci si dimentica), specialmente all’inizio della pratica. Ecco perché accorgersi di essersi dimenticati di attivare i bandha può essere già considerato un successo! Con la pratica i bandha diventeranno un accompagnamento costante della pratica.
Jalandhara Bandha, chiusura del mento, è il terzo bandha e viene attivato spontaneamente durante alcuni asana a causa del drsti e della posizione della testa. Adho Mukkha Svanasana è l’asana migliore per sperimentare questo bandha: per realizzare il corretto Dṛṣṭi (l’imbelico in questo caso) è infatti necessario comprimere il mento contro il petto.
Questo blocco impedisce che l'energia pranica si disperda e trattiene ogni pressione che potrebbe essersi accumulata in testa durante la ritenzione del respiro.

Dṛṣṭi
Dṛṣṭi è un termine sanscrito che nello yoga significa “direzione dello sguardo”. Ogni asana contiene un punto di osservazione specifico.  Non si tratta però semplicemente di guardare il punto indicato, ma di rivolgere la propria attenzione verso un punto “passando per gli occhi” e di non permettere allo sguardo di disperdersi.
Esistono nove Dṛṣṭi:
  • Nasagre (punta del naso)
  • Bhrūmadhye  (in mezzo alle sopracciglia, terzo occhio)
  • Nābhicakre  (ombelico)
  • Angusthamadhye (pollice)
  • Hastagrahe  (mano)
  • Padahayoragrai (alluce)
  •  Parsva Dṛṣṭi (orizzonte a destra)
  • Parsva Dṛṣṭi (orizzonte a sinistra)
  • Urdhva Dṛṣṭi / Antara Dṛṣṭi (verso l’ alto)


Attraverso la disciplina imposta dal Dṛṣṭi, la mente è concentrata e gli studenti imparano a guardare "verso l'interno".

Tristana
 La vera essenza del Vinyasa si realizza quando si raggiunge lo stato detto Tristana, ossia  l'unione dei tre principali obiettivi di Ashtanga Yoga: la sincronizzazione avanzata di respiro e movimento, Bandha e Dṛṣṭi.
Questa unione porta al raggiungimento della dimensione spirituale nella pratica dell’ Ashtanga yoga.
“Lo Yoga é ciò che non puoi vedere. I vigorosi movimenti dell’Ashtanga sono solo la superficie esteriore di un viaggio spirituale interiore. Dietro la forza del corpo, esiste un’energia, che é spirituale e che ci mantiene in vita. Per poter accedere alla spiritualità, bisogna prima capire la fisicità. Il corpo è il nostro tempio e in questo tempio si trova Atman – Dio." - Sri K. Patthabi Jois
Quando questa unione fiorisce, una potente onda di fluidità ed eleganza emerge dalla pratica, e l’alchimia risultante rivela le energie dei cinque elementi:
  • Terra: mula bandha che produce base di sostegno, stabilità e resistenza. 
  • Acqua: la fluidità del Vinyasa che produce sudore. 
  • Aria: La respirazione  Ujjayi e i bandha che forniscono l'agilità.
  • Fuoco: Agni, il fuoco purificatore prodotto dalla pratica. 
  •  Etere: il sottile prana onnipervadente


Tristana si ottiene attraverso la pratica costante : solo così si ottiene la familiarità necessaria per eseguire transizioni e posture in forma sottile, naturale ed elegante.

Conclusione
La caratteristica che davvero distingue l'Ashtanga Yoga dalle altre varianti praticate oggi è il suo sistema unico di movimento eseguito in sequenze di posture (asana), che generando calore produce sudore. Il sudore depura, purifica e libera le tossine trattenute negli strati adiposi del corpo.
Mano a mano che si approfondisce la pratica, anche le tossine trattenute negli strati più profondi del tessuto muscolare e degli organi interni vengono rilasciate. Ciò aiuta a mantenere un corpo sano, tonico e flessibile.
Il potere del respiro è la chiave di questo sistema e perciò non va sottostimato.
L’applicazione delle tecniche di respiro, dei bandha e del Dṛṣṭi dà origine agli aspetti fisici e meditativi propri dell’Ashtanga.
Il respiro energizza, calma e aiuta a meditare. Il suo suono e il suo ritmo sono molto poderosi e permettono alla mente di ritrarsi in se stessa e, al contempo, di unirsi al corpo.
La pratica stessa diventa quindi una meditazione in movimento, anche se questo è vero quando tutti gli aspetti della disciplina si fondono in armonia .

E' essenziale non perdere di vista l'essenza dello Yoga, l’essenza dell’Ashtanga: un cammino fatto di otto passi.

In Occidente la pratica dello Yoga si concentra sulle posture (asana) e non considera i principali aspetti che differenziano lo Yoga dalla comune educazione fisica. E’ attraverso gli otto passi del Raja Yoga che noi praticanti occidentali possono beneficiare come individui e come società  degli aspetti più fecondi della millenaria tradizione Indiana.

martedì 14 gennaio 2020

Ashtanga Vinyasa Yoga secondo l’insegnamento tradizionale di Sri Krishna Pattabhi Jois. Parte Seconda: la Pratica.

La pratica 

Le posture prescritte nell’Ashtanga Vinyasa e l'ordine in cui vengono eseguite, sono specificamente progettate per generare un progressivo aumento del calore, della forza e della flessibilità del corpo. Le posture si integrano tra loro per promuovere un preciso equilibrio tra l'allungamento e il rafforzamento fisico e sono un esercizio completo per il corpo, la mente e lo spirito.

Nell’Ashtanga Yoga ci sono tre gruppi (o livelli) di sequenze, ciascuna con caratteristiche proprie ma tutte finalizzate ad integrare in modo armonico forza e flessibilità, stabilità e leggerezza.
La Prima Serie è chiamata Yoga Cikitsā.  Yoga Cikitsā significa Yoga Terapia e, in effetti, disintossica ed allinea il corpo eliminando tutte le asimmetrie. Si tratta di circa 75 posizioni,  la cui esecuzione richiede circa 90 minuti; si inizia con le due varianti del Saluto al sole  (Surya Namaskara A e B)  per poi passare alle posture in piedi, quelle sedute e le posture finali
La Serie Intermedia (Nadi Shodhana, ossia pulizia delle Nadi) purifica e rafforza il sistema nervoso. Le Serie Avanzate (Sthira Bhaga) vanno ancora più in profondità integrando grazia e stamina, agilità ed equilibrio, rendendo il corpo leggero, privo di tensioni e meno soggetto ad affaticamento.

Il primo approccio alla pratica avviene con le Lezioni Guidate di gruppo. Vengono sviluppati i fondamenti  della pratica e gli studenti sono guidati gradualmente, con spiegazioni e momenti di pausa, al respiro Ujjayi, ad un primo accenno ai Bandha (Mula e Uddiyana Parziale), e condotti attraverso i Saluti al Sole e le prime sei posture fondamentali dell'Ashtanga Yoga.; la classe finisce con le posture finali seguite dal rilassamento.
Seguendo lo stile di insegnamento di Guruji Jois , una volta acquisita questa sequenza parziale, lo studente è invitato a lavorare in lezioni individuali, dette Mysore Style: ogni studente segue la serie terminando la propria pratica nel punto indicato dall'insegnante, secondo il proprio ritmo, sempre sotto l’occhio vigile dell’Insegnante. Mano a mano che la pratica individuale acquisirà forza, resistenza e flessibilità verranno assegnate nuove Asana per proseguire il percorso nella sequenza. Mysore è anche lo stile migliore per imparare in quanto porta e mantiene l’attenzione al centro e all'interno piuttosto che all'esterno verso le distrazioni.

Una parte profonda della tradizione è il mantra d’apertura che dà inizio ad ogni pratica Ashtanga, in cui si rende onore a questa antica tradizione e a Patanjali. La pratica si chiude con il tradizionale mantra della pace (Shanti Mantra): l’energia che abbiamo creato durante la pratica è inviata a tutti gli esseri senzienti in forma di amore, luce e pace.

Ashtanga e Cicli Lunari
Sappiamo che la Luna condiziona le maree. Anche quelle dentro di noi, che siamo composti per tre quarti di acqua. Influenza anche la nostra pratica di Yoga. 
L'aspetto della luna ci segnala quando noi e la natura tutta siamo in fase di accumulo, di crescita ed espansione, di attività (luna crescente) e quando siamo in fase di riduzione, di selezione, eliminazione e depurazione, di raccoglimento e concentrazione (luna decrescente). L'energia prende due direzioni diverse, in alternanza. Esattamente come nel respiro. 

I momenti più forti sono ovviamente quelli di cambio di fase: la luna piena e la luna nuova, in cui le caratteristiche descritte raggiungono il picco massimo.
Sotto luna piena le forze sono amplificate, l'entusiasmo tende alla foga, la psiche è più irrequieta e distante dal corpo: può accadere di esagerare inavvertitamente e sollecitare eccessivamente muscoli e articolazioni. Sotto luna nuova l'energia viene dispersa più facilmente: siamo più deboli e meno inclini allo sforzo fisico. Sono momenti in cui si alza il rischio di infortunarsi, e per di più eventuali danni sono molto più lenti a risolversi.
La pratica costante dell’Ashtanga Yoga ci connette non solo per noi stessi, ma ci mette anche in giusto rapporto con l'ambiente e ci sincronizza con i ritmi naturali dell'universo.
E’ questo il motivo per cui, nella tradizione dell'Ashtanga, non si pratica in luna nuova e in luna piena.

Vinyasa
La parola sanscrita vinyasa, deriva da “vi”, che significa "andare", "movimento" e da “nyasa” che significa "luogo". Il termine descrive il concetto di “respiro coordinato con il movimento”. Tutte le posture sono collegate in una sequenza precisa e l’esecuzione di ogni asana  contiene un numero preciso di transizioni sincronizzate entra respirazione e movimento. 
Nel suo libro Yoga Mala, Sri K. Dettagli Pattabhi Jois prescrive che ogni asana inizi con lo studente in Samasthitih -postura in piedi, pronto a sincronizzare il movimento e la respirazione- e termini nella stessa posizione, con un numero esatto di transizioni sincronizzate, o vinyasa, nel mezzo.  
Questi principi sono introdotti dall'inizio del Surya Namaskara A, che comprende nove movimenti sincronizzati con la respirazione.




lunedì 13 gennaio 2020

Ashtanga Vinyasa Yoga secondo l’insegnamento tradizionale di Sri Krishna Pattabhi Jois. Parte Prima: le origini.

“Praticando i rami dello yoga, si distruggono le impurità, sorge la luce di una nuova conoscenza che culmina nella consapevolezza discriminante (viveka-khyati) di ciò che è. Gli otto rami dello yoga sono: il rispetto per gli altri, l'autocontrollo, la postura, controllo del respiro, il distacco dei sensi, concentrazione, meditazione e contemplazione.” -Patanjali (Yoga Sutra, II, 28-29)

Che cos'è l’Ashtanga Vinyasa  Yoga?

Ashtanga Vinyasa Yoga  (noto più semplicemente come "Ashtanga") come insegnato secondo la tradizione di Sri K. Pattabhi Jois, è una disciplina yogica che si sviluppa attraverso una concatenazione di asana (posture) collegate tra loro dal sistema del Vinyasa, coordinazione tra respiro e movimento; si determinano così delle vere e proprie sequenze di asana, dettagliate e precise.
Questi asana sono eseguiti congiuntamente ad una serie di sigilli energetici (Bandha), un particolare tipo di respirazione (Ujjayi) e una particolare direzione dello sguardo in ogni asana (Dṛṣṭi ).  La combinazione di tutte queste tecniche (Tristana) comporta la generazione di calore che tonifica, depura e conduce ad un approccio fluido e dinamico allo yoga. 
Il termine Ashtanga significa letteralmente "otto passi" in sanscrito. Questo stile di yoga prende il nome dall’”ottuplice sentiero” delineato da Patanjali negli Yoga Sutra.
E' una disciplina antica e potente per coltivare la salute fisico-mentale e l'evoluzione spirituale. La sua pratica costante conduce ad un’ esperienza più profonda del Sé.

Le origini di Ashtanga Vinyasa Yoga
Le origini di Ashtanga Vinyasa Yoga si perdono nei miti e nelle leggende. Si ritiene che questo particolare sistema di yoga sia nato migliaia di anni fa. Tuttavia la sua "riscoperta" moderna risale a solo 75 anni fa grazie agli studi di Tirumlai Sri Krishnamacharya (1888-1989) e Sri Krishna Pattabhi Jois (1915-2009). Krishnamacharya è stato uno degli insegnanti di Yoga più importanti del ventesimo secolo. E ' stato il fondatore e direttore della Scuola di Yoga di Mysore, India, istituito nel palazzo del Maharaja di Mysore.  Tra i suoi studenti basti nominare  il figlio TKV Desikachar , BKS Iyengar e lo stesso Sri Krishna Pattabhi Jois (Tre dei “mostri sacri” dello Yoga contemporaneo).  
Si dice che durante una visita alla Biblioteca Nazionale di Calcutta in India, Krishnamacharya si sia imbattuto in un antico testo, lo Yoga Korunta, scritto da Rishi Vamana in un periodo tra 1500 e 5000 anni fa. Questo testo descriveva  non solo i diversi Asana, ma anche l’esatto ordine e il modo in cui le posture dovevano  essere eseguite. 
Di questo antico testo, scritto su foglie di banano, si sono perse però le tracce, tanto che molti credono che questa storia sia apocrifa. Secondo Jois tuttavia, l’insegnamento di Krishnamacharya è stato influenzato anche dall'Hatha Yoga Pradipika, gli Yoga Sutra e la Bhagavad Gita. 
Quando Krishnamacharya lasciò Mysore, affidò la trasmissione dello yoga tradizionale al suo allievo più grande, Sri K. Pattabhi Jois.  Jois, considerato il vero Guru dell’Ashtanga, ha perfezionato questo sistema, chiamandolo Ashtanga Yoga perché, secondo lui, è la rappresentazione più completa delle otto rami (Ashtanga in sanscrito) del Raja Yoga.  
Sarà Pattabhi Jois a scrivere il primo libro sul sistema della pratica. Lo Yoga Mala fu scritto tra il 1958 e il 1960. "Mala" significa ghirlanda e si referisce all’Ashtanga Yoga come le perle del respiro e del movimento, allineate lungo la ghirlanda.
Il primo occidentale a incontrare Jois e a far conoscere l’Ashtanga in Occidente  è stato il belga André van Lysbeth nel 1964.
L’Ashtanga Vinyasa Yoga è stato portato negli Stati Uniti negli anni '70 da un trio di giovani che sono andati a India in cerca dell’autentica pratica Yoga: Norman Allen, Davis Williams e Nancy Gilgoff.
Da allora molte persone hanno adottato la pratica dell’Ashtanga Vinyasa Yoga e si è sviluppato un intenso pellegrinaggio a Mysore, presso l’Ashtanga Yoga Research Institute, per sperimentare personalmente gli insegnamenti del Guru.
In Italia ed Europa, l’Ashtanga si è diffuso grazie al lavoro di Lino Miele, allievo devoto di Pattabhi Jois, fondatore direttore dell’Ashtanga Yoga Research Institute di Roma in cui anche io ho l’onore di pratica.
Al di là della possibile natura apocrifa delle sue origini, molti praticanti credono che lo stile dell’Ashtanga Yoga proposto da Jois rappresenti il sistema Yoga più completo e originale. Molti, me compreso, credono che Ashtanga Vinyasa Yoga rappresenti la pratica classica dello Yoga, come specificato da Patanjali nei suoi famosi Yoga Sutra

mercoledì 3 maggio 2017

Yoga Sūtra di Patañjali

Yoga e il Sāṃkhya, due dei sei darśana dell'induismo, hanno come fine quello di voler liberare l'uomo dalla sofferenza insita nella condizione umana e quindi dal ciclo delle rinascite.
Il Sāṃkhya afferma che a tale scopo sia sufficiente la conoscenza metafisica, il riconoscere cioè che esistono due principi ultimi, la materia e lo spirito, e che questi sono in realtà distinti fra loro, essendo lo spirito spettatore puro e passivo delle dinamiche della materia, materia che è ciò di cui siamo fatti, mente e corpo.
Patañjali ritiene invece insufficiente la sola conoscenza, e nei suoi Yoga Sūtra espone una tecnica psico-fisiologica il cui fine è quello di superare gli stati ordinari della coscienza, per realizzare uno stato soggettivo che è sia extrarazionale sia sovrasensoriale (Samādhi), grazie al quale ottenere la liberazione (mokṣa).

Lo Yoga Sūtra ("Aforismi sullo Yoga") di Patañjali è un testo filosofico indiano risalente II secolo d.C., ritenuto fondamentale nello Yoga darśana, uno dei sei sistemi ortodossi dell'induismo.
L'opera consiste in una raccolta di 196 aforismi, ovvero brevi e significative frasi concepite per essere memorizzate con facilità, come era costume presso i maestri hindu, ove la tradizione orale era il mezzo principale per condividere e tramandare la conoscenza.
Il testo è suddiviso in quattro sezioni (pāda):


  • Samādhi Pāda: in cui viene introdotto e illustrato lo Yoga come mezzo per il raggiungimento del samādhi, lo stato di beatitudine nel quale, sperimentando una differente consapevolezza delle cose, si consegue la liberazione dal "ciclo delle rinascite" (saṃsāra).
  • Sādhana Pāda: in cui vengono descritti il Kriyā Yoga (lo "Yoga dell'agire", noto anche come Karma Yoga) e l'Aṣṭāṅga Yoga (lo "Yoga degli otto stadi", noto anche come Raja Yoga, lo "Yoga regale").
  • Vibhūti Pāda: in cui si prosegue con la descrizione delle ultime fasi del percorso yogico, e vengono esposti i "poteri sovraumani" (vibhūti) che è possibile conseguire con una pratica corretta dello yoga.
  • Kaivalya Pāda: in cui viene descritto il modo di ottenere la liberazione attraverso Kaivalya, ossia la "separazione" fra spirito (puruṣa) e materia (prakṛti).

Analizziamo ora alcuni dei versetti più significativi dei primi due capitoli.

Punti principali del Samādhi Pāda 

Che cos'è lo Yoga?

(I.2) Yogaś-citta-vṛtti-nirodhaḥ 
In queste poche parole, semplici e concise, troviamo la sintesi dell’intero insegnamento yogico: 
Yoga è l’Acquietamento (o canalizzazione) delle Fluttuazioni Mentali.
Lo yoga cioè si consegue soggiogando la natura psichica e raffrenando i vortici (vṛtti) della mente.



Le 5 vṛtti principali sono: pramāna (giusta conoscienza), viparyaya (errata conoscienza), vikalpa (fantasia o immaginazione), nidrā (sonno), smritayah (memoria).

Queste modificazioni, alterazioni provocano delle onde di pensiero dalle quali scaturiscono le distrazioni e le illusioni che provocano agitazione, frustrazione, delusione e dolore.

Come raggiungere lo Yoga

(I.12) Abhyāsa-vairāgya-ābhyāṁ tan-nirodhaḥ
I due pilastri della sadhana (pratica) sono Abhyasa e Vairagya: Abhyasa è esercizio costante e ininterrotto, Vairagya è il distacco, il non attaccamento.
Attraverso l’esercizio costante e il non attaccamento si può raggiungere il Samadhi, fine ultime dello Yoga.

Approccio devozionale
Patañjali fornisce un’ulteriore via per raggiungere il Samadhi: il completo e totale abbandono all’Īśvara 

(I.23) Īśvara-praṇidhāna vā
 L’Īśvara  è un puruṣa particolare, non coinvolto nella sofferenza (klesa), né dalle azioni sostenute dalla sofferenza (karma), né dalle conseguenze di queste azioni.
L’espressione che lo contraddistingue è Om:

(I.27) Tasya vacakah pranavah
La sua ripetizione (japa) ne rende manifesto il significato, rende consapevoli. Questa energia che ci fonda può essere percepita, nel sentire non duale profondo, che nasce dalla pratica del mantra che lo designa. Gli ostacoli scompaiono e la coscienza si interiorizza.


Gli ostacoli sulla via per raggiungere il Samadhi

(I.30)Vyadhi-styana-samsaya-pramadalasyavirati-bhranti-darsanalabdhabhum ikatvanavasthitavani citta-viksepas te 'ntarayah
Gli ostacoli che causano la dispersione della coscienza sono : malattia (vyadhi), l’inerzia (styana), il dubbio (samshaya), la depressione (pramada), la pigrizia (alasya), l’iperattività (avirati), l’errata percezione (bhrantidarsana), l’instabilità (an-avasthitatva), inabilità a raggiungere alti obiettivi ( Alabdha bhumikatva).


Punti principali del Sādhana Pāda 

Kriya Yoga e kleśa
Patañjali indica nella pratica del Kriya Yoga il percorso per ridurre la miseria e le afflizioni (kleśa) e condurre al Samadhi

(2.1) Tapah svadhyaya Īśvara-praṇidhāna kriya-yogah
Lo yoga dell’azione (Kriya Yoga) è costituito dalla volontà cosciente (Tapas, motivazione), dall’auto-conoscenza (Svadhiyaya, lo studio di sé, ma anche dei testi), l’abbandono al tutto (Īśvara-praṇidhāna).

(2.3) Avidya asmita raga dvesha abhiniveshah kleshah kleśah
Le cause del dolore, della sofferenza (kleśa,maculazioni, ciò che macchia la coscienza) sono l’ignoranzanza (avidya), l’ego (asmita), il desiderio (raga), l’avversione (dvesa), l’attaccamento al vivere (abhinivesa, la paura della morte).

(2.4) Avidyā kṣetram-uttareṣām prasupta-tanu-vicchinn-odārāṇām
L’ignoranza è la fonte (la radice, la causa) della sofferenza (kleśa) sia essa dormiente, attenuata, intermittente o pienamente attiva.

(2.12) Kleśa-mūlaḥ karma-aśayo dṛṣṭa-adṛṣṭa-janma-vedanīyaḥ
L’accumulo di azioni (Karma) ha la sua radice negli stati mentali di sofferenza (kleśa) . Lo si sperimenta nella vita attuale e in quelle future.

(2.16) Heyaṁ duḥkham-anāgatam
Si deve evitare la sofferenza futura.

Causa della sofferenza
Come già abbiamo visto nella filosofia Samkhya, Patañjali individua come causa della sofferenza la sovrapposizione (Samyoga) tra Puruṣa e Prakṛti.

(2.17) Draṣṭṛ-dṛśyayoḥ saṁyogo heyahetuḥ
Ciò che si deve evitare è la sovrapposizione (l’identificazione) della coscienza (puruṣa) con la “cosa” vista (prakṛti).

La via d’uscita dalla sofferenza

(2.25) Tad-abhābāt-saṁyoga-abhāvo hānaṁ taddṛśeḥ kaivalyam
Quando l’ignoranza scompare, cade la confusione e si ha la liberazione della coscienza. (kaivalyam)

(2.26) viveka-khyātir-aviplavā hānopāyaḥ 
 Il mezzo per ottenere la scomparsa della confusione è usare in modo incessante la consapevolezza discriminante.

Ashtanga Yoga
Praticando i rami dello yoga, si distruggono le impurità, sorge la luce di una nuova conoscenza che culmina nella consapevolezza discriminante (viveka-khyati) di ciò che è.

(2.29) yama niyama-āsana prāṇāyāma pratyāhāra dhāraṇā dhyāna samādhayo-'ṣṭāvaṅgāni
Le otto membra sono :
1) Yama: le astinenze (in relazione con il prossimo)
2) Niyama: le osservaze (in relazione con se stessi)
3) Asana: posture
4) Prāṇāyāma: il controllo dell’energia
5) Pratyāhāra: l’interiorizzazione dei sensi
6) Dhāraṇā: la concentrazione
7) Dhyāna:la meditazione
8) Samādhi: la coscienza profonda ‘raccolta’

Parlerò approfonditamente di questi rami nel prossimo blog.



lunedì 1 maggio 2017

Ashtanga Yoga secondo Patañjali: parte prima

Gli Yoga Sutra di Patañjali sono un manuale tecnico e scientifico  che presenta lo Yoga come disciplina psico-fisica.
Negli Yoga Sutra Patañjali offre al praticante sincero una “ricetta” per distruggere le impurità e raggiungere la perfetta saggezza che conduce al Samadhi.
Questa “ricetta” sono gli 8 rami, o braccia, dello Yoga:
  •       Yama: le astinenze (in relazione con il prossimo)
  •       Niyama: le osservaze (in relazione con se stessi)
  •       Asana: posture
  •       Prāṇāyāma: il controllo dell’energia vitale (prana)
  •       Pratyāhāra: l’interiorizzazione dei sensi
  •       Dhāraṇā: la concentrazione
  •       Dhyāna: la meditazione
  •       Samādhi: la coscienza profonda ‘raccolta’


L’ordine presentato non è casuale.
Yama e Niyama sono al primo posto perché sono la base su cui poggia tutto il lavoro di ricerca dello Yoga. Essi rappresentano i 10 comandamenti dello Yogi sincero. Gli Asana seguono immediatamente Yama e Niyama perché attraverso essi la persona si equilibra e si rafforza in modo da poter affrontare preparata il Prāṇāyāma. Quando si acquisisce il controllo sull’energia sottile, si accede facilmente al Pratyāhāra.
Solo attraverso l’interiorizzazione dei sensi si possono affrontare le pratiche meditative.  Dalla concentrazione (Dharana) si può giungere alla meditazione (dhyana) ed infine dalla meditazione al Samadhi, o fusione nel Divino.
Tuttavia le otto braccia si compenetrano. Infatti quando eseguiamo gli Asana normalmente abbiniamo un ritmo respiratorio o un tipo di respirazione, quindi Asana e Pranayama si eseguono di norma insieme. Durante la pratica si raggiunge uno stato di ritiro dei sensi (pratyāhāra) e di concentrazione (dhāraṇā).

YAMA E NIYAMA

Gli Yama rappresentano il codice etico dello Yoga. Lo scopo principale di questo codice etico è di eliminare tutti i disturbi mentali ed emotivi che caratterizzano la vita dell’essere umano ordinario. Odio, disonestà, disprezzo, sensualità, possessività, sono alcuni tra i vizi più comuni dell’uomo e finché esso sarà soggetto a questi vizi la sua mente resterà preda di disturbi violenti. Finché tali turbe rimangono, è perfettamente inutile intraprendere lo Yoga più elevato.
Mentre gli Yama sono pratiche di tipo morale, le pratiche del Niyama sono di tipo disciplinare e costruttivo. Essi mirano  ad organizzare la vita in modo proprio. Con i Niyama siamo infatti in grado di affrontare e dissolvere definitivamente le tendenze Karmiche che interferiscono con l’impegno evolutivo del Sadhaka (colui che segue una determinata pratica, sadhana).
Approfondirò i concetti di Yama e Niyama nei prossimi blog.

ASANA

Asana: stato psicofisico che si realizza immobilizzando il corpo e la mente con l'aiuto fondamentale del respiro.
Il praticante si osserva e registra le proprie sensazioni che possono essere piacevoli o sgradevoli come la tensione, il dolore, il caldo, il freddo, percepisce il proprio corpo e la sua energia, prova tutto questo come se stesse guardando un altro, con distacco. Senza consapevolezza, la pratica degli asana è indistinguibile da un mero esercizio fisico in palestra.
L'asana ha effetto sul corpo e sulla mente ma la mente a sua volta, tramite introspezione, rilassamento e la concentrazione agisce
indirettamente sul corpo fisico. Esiste sempre una stretta connessione tra mente e corpo.
L'azione terapeutica dell'asana e' dovuta alla posizione statica del corpo unita ad una corretta respirazione ed ad un corretto
atteggiamento mentale. Corpo, mente e respiro vengono posti in un determinato atteggiamento da provocare uno stato di benessere totale. Attraverso una pratica costante l'intero organismo viene vitalizzato, stimolato e riequilibrato.

PRANAYAMA

Prana significa energia vitale, la cui manifestazione grossolana è il respiro, ayama controllo - padronanza.
Pranayama è quindi il controllo cosciente del prana (la vibrazione o energia che attiva e sostiene la vita del corpo), è la scienza del respiro.  La pratica yoga del pranayama è la via diretta per disinnestare consciamente la mente dalle funzioni vitali e dalle percezioni sensorie  che legano l' uomo alla coscienza del corpo. 
Secondo Patanjali il pranayama consiste nella sospensione, per periodi di tempo determinati, sia del processo inspiratorio che quello espiratorio allo scopo di aumentare la quantità di prana all' interno del corpo. L'essere umano ha la possibilità di aumentare il bagaglio pranico nel suo corpo soprattutto attraverso la respirazione. 


PRATYAHARA

Per Pratyahara si intende l’interiorizzazione dei sensi e della mente.
E' la capacità di isolare la mente da qualsiasi stimolo sensoriale esterno e metterla in condizione di rivolgere tutta l'attenzione all'interno.


Le cinque membra fin qui descritte sono considerate mezzi esterni di realizzazione. E così si giunge alle successive tre membra considerate mezzi interni-sottili per giungere alla realizzazione del Samadhi, l' unione tra il Sè individuale con il Sè universale.

Questa seconda parte viene comunemente considerata Raja Yoga

DHARANA

Dharana significa concentrazione, la capacità di portare la mente su un solo punto o argomento induce la
mente a placare il suo flusso continuo, causa di insoddisfazioni e infelicità.


DHYANA

Dhyana è la meditazione. La mente che contempla un oggetto si trasforma nella forma dell'oggetto stesso, questo stato e definito meditazione. Una volta raggiunto questo stadio il praticante ha unito corpo, sensi, respiro, mente e l'io in oggetto di contemplazione, nessun'altra sensazione lo tocca.

SAMADHI

Samadhi significa “mettere insieme”. E’ il termine che descrive l'unione del meditante con l'oggetto della meditazione.
Al culmine della meditazione il praticante passa nello stato di Samadhi, in unione, in assorbimento totale nello spirito.
In questo stato lo yogi è completamente sveglio e vigile ma riposa come se fosse addormentato, scompare il senso dell' IO o del MIO poiché perviene ad uno stato senza tempo.


Ashtanga Yoga secondo Patañjali: parte seconda

Approfondiamo ora i cinque Yama e i cinque Niyama

Lo scopo principale di questo codice etico è di eliminare tutti i disturbi mentali ed emotivi che caratterizzano la vita dell’essere umano ordinario. Odio, disonestà, disprezzo, sensualità, possessività, sono alcuni tra i vizi più comuni dell’uomo e finché esso sarà soggetto a questi vizi la sua mente resterà preda di disturbi violenti. Finché tali turbe rimangono, è perfettamente inutile intraprendere lo Yoga più elevato.


YAMA
Il termine Yama deriva dalla radice Yam che significa frenare, controllare. Yama, quindi è l’astinenza che deve essere applicata ai pensieri, alle parole e alle opere.




I cinque Yama sono: Ahiṁsā, Satya, Asteya, Brahmacarya, Aparigrahā

AHIMSA

Ahimsa è l’astensione dal fare violenza. E’ un atteggiamento non violento nei confronti di tutte le creature viventi. Esso è basato sull’unicità della vita.

E’ uno fra i più importanti fondamenti morali della disciplina Yoga. Ahimsa non è solo un corretto comportamento etico sociale, ma una eliminazione totale del seme della violenza che è latente in noi. Per esempio, se una zanzara ci dà fastidio, la non violenza non è il fermare la mano un attimo prima di schiacciare l’insetto, bensì il non aver neanche l’impulso di schiacciarla.

Lo Yogi pratica attivamente Ahimsa perché sa che la violenza produce un Karma che condizionerà negativamente la sua evoluzione spirituale e renderà la sua esistenza un pesante fardello di miserie.

La violenza nasce soprattutto dalla paura, dall’ignoranza e dalla debolezza. Gli atteggiamenti di vendetta, gelosia, disprezzo e odio, generano non solo grosse forze di violenza materiale, ma anche forme più sottili, meno avvertibili e più pericolose, che si manifestano sul piano del conscio e dell’inconscio.

Ahimsa si attua attraverso la discriminazione (Buddhi). Questa facoltà si sviluppa attraverso un lungo tirocinio che consiste nel fare sempre la cosa giusta ad ogni costo. Occorre una continua osservazione della propria mente, delle proprie emozioni, parole ed opere e incominciare a regolarle in accordo con l’ideale della non violenza. Gradualmente questo ideale di non violenza si trasformerà in una vita d’amore positiva e compassione verso ogni creatura.


SATYA

Satya significa “vero”, “reale”, ed è un attributo di Vishnu, esempio e modello di verità.

Satya è l’astenersi dal mentire e va intesa con il significato più ampio che il concetto può dare. Per lo Yogi significa  perseguire l’assoluta verità nel pensiero, nella parola e nell’azione. 

La menzogna disturba in modo fastidioso la nostra mente. Solitamente si fa ricorso alla bugia per evitare difficoltà; in realtà andiamo in contro a difficoltà maggiori dovendo sostenere la menzogna. Questo continuo sostenere la menzogna, determina una tensione nella nostra mente subconscia ed offre terreno fertile ad ogni tipo di turba emotiva.

La pratica di Satya è assolutamente indispensabile se si vuole sviluppare la Buddhi (discernimento). Se il nostro discernimento sarà limpido potremo capire quando un’affermazione veritiera può essere detta e quando no. Essere sinceri non vuol dire esprimere sempre quanto pensiamo. Un’affermazione nociva basata su dei fatti ovvi ma superficiali e temporanei è, nel profondo senso spirituale, una cosa non veritiera.


ASTEYA

Asteya è l’astensione dal prendere ciò che non ci è stato dato  e va esteso a tutte le forme di appropriazione indebita.

Con appropriazione indebita si intende accettare compensi per aver svolto il proprio dovere, accettare lodi, onori, privilegi e apprezzamenti non meritati. Si intende anche non desiderare nulla che non sia nostro. 

Asteya comprende anche l’uso diverso o sbagliato di cose che non ci appartengono, il loro abuso, la loro cattiva conservazione, la loro non restituzione a tempo dovuto.

Occorre essere consapevoli che ogni desiderio, ogni attaccamento è causa di schiavitù e di sofferenza e solo attraverso il distacco si può agire pur restando liberi da ogni vincolo. Eliminando queste tendenze indesiderabili si arriverà a rendere la mente pura e tranquilla.


BRAHMACHARYA

Brahmacharya è uno Yama molto discusso e contestato dalle varie correnti all’interno dello Yoga. Letteralmente significa castità, celibato, ma molti lo interpretano come una pratica moderata dei piaceri sensuali.

Patanjali afferma che se si vuole seguire la via dello Yoga Superiore, i piaceri sensuali devono essere abbandonati. L’energia sessuale è una grande forza che l’uomo ha e che normalmente non controlla. Questa grande energia viene così dissipata impedendo alla consapevolezza di crescere. Reprimere questo tipo di energia sarebbe molto pericoloso. L’energia sessuale deve essere invece sublimata, trasformandola in energia mentale. Per chi pratica il Brahmacharya sono  indispensabili Asana, Kriya e Mudra, che sono i mezzi per il controllo e la trasmutazione di tali energie.

Nell’epoca moderna, all’infuori dall’ordine monastico degli swami,  Brahmacharya viene intesa come disciplina sessuale, rispetto, sacralità dell’atto sessuale.


APARIGRAHA

Aparigraha   è la “non possessività”. Per capire il motivo per cui Aparigraha è importante, bisogna pensare all’influenza negativa che la possessività esercita su di noi. L’impulso ad accumulare beni mondani è così forte nell’uomo che lo si può considerare quasi un istinto fondamentale della vita umana.

Aparigraha non eliminare ciò che materialmente possediamo, ma eliminare le dipendenze che ne possono derivare.

E’ nostro dovere ricercare le cose essenziali che ci permettano di vivere una vita decorosa, ma l’avidità per le cose che in realtà non sono necessarie produce anche gravi conflitti. Basta considerare il tempo, denaro ed energia spesi per accumulare, mantenere e custodire beni superflui; le paure, il dolore, l’ansia costante che crea il timore di perderli, gli attaccamenti, l’egoismo, le gelosie, l’orgoglio che essi producono nell’uso che ne facciamo.

Vivere con animo tranquillo, senza desideri, la mente aperta e in atteggiamento di attesa, accontentandoci di quanto ci offre la vita, secondo la legge del Karma, conduce all’evasione dai limiti dei nostri condizionamenti e a spaziare nell’immensità del tutto.


NIYAMA


Mentre gli Yama sono pratiche di tipo morale, le pratiche del Niyama sono di tipo disciplinare e costruttivo. Essi mirano  ad organizzare la vita in modo proprio. Con i Niyama siamo infatti in grado di affrontare e dissolvere definitivamente le tendenze Karmiche che interferiscono con l’impegno evolutivo del Sadhaka (colui che segue una determinata pratica, sadhana).

I cinque Niyama sono:  śauca, saṁtoṣa, tapas, svādhyāya, Iśvara praṇidhānā.

SAUCA

Saucha è il primo elemento del Niyama e significa purezza.

Il termine “purezza” va riferito non solo al nostro corpo materiale che identifichiamo attraverso i sensi, ma a tutti i cinque Kosha (corpo fisico, vitale, mentale, intellettuale, causale) con il fine di trasmutare gli stati di coscenzialità di questi veicoli dallo stato Tamasico (inerzia, contrazione) a quello Sattvico (espansione, conoscenza).

Il primo corpo che dobbiamo purificare è l’Annamayakosha, o il corpo fisico. Esso si occupa esclusivamente della pura sussistenza fisica. E’ costituito da elementi chimici provenienti dal nutrimento solido, liquido e gassoso, ed alle funzioni metaboliche, perciò viene chiamato “corpo del cibo”. Esso è in relazione con gli altri quattro corpi superiori e da essi viene animato e alimentato di energie Praniche. Le purificazioni legate a questo corpo sono i Shatkarma.

Il secondo corpo da purificare è il Pranamayakosha, o corpo vitale. Esso è costituito dai Prana Vayu (Prana, Samana, Udana, Vyana, Apana, ecc.) i quali operano, attraverso le Nadi, sui vari Kosha producendo tutte le attività vitali, dalla motricità al pensiero.

Per la purificazione del Pranamayakosha, la Sadhana prevede il Pranayama, i Bandha, i Kriya e i Mudra le cui tecniche operano una purificazione e un riequilibrio delle Nadi (circuiti Pranici ).

Il terzo corpo è il Manomayakosha, o corpo mentale o psichico. Esso comporta gli strumenti della percezione e dell’azione e comprende la memoria individuale ed ereditaria, gli istinti caratteriali, tutti i condizionamenti, i complessi, le sensazioni e l’inconscio.

Esso, attraverso i Chakra, governa il corpo Pranico e attraverso questo promuove coscientemente l’attività del corpo fisico.

Le tecniche di purificazione del Manomayakosha fanno parte dell’Antaranga Yoga, o Yoga interiore, a cui si accede solo sotto la guida esperta di un Guru. Kriya, Mantra, Yantra e Dharana fanno parte dell’Antaranga.

Il quarto corpo è il Vijnanamayakosha. E’ lo stato più denso dell’anima individuale incarnata (Jivatman). Di questo corpo fanno parte il mentale o pensiero (Manas) che ha la proprietà di delineare le cose; l’ego (Ahamkara) che ha la proprietà di identificare il corpo nell’io individuale; la sostanza del pensiero (Chitta) che ha la proprietà di memorizzare gli eventi che la stimolano; l’intelletto, il discernimento (Buddhi) che ha la proprietà di discriminare. Esso si trova in stretto rapporto col Manomayakosha e agisce sull’equilibrio delle pulsioni egoiche inconsce, sul controllo degli istinti e sulla coscienzialità del bene del male nel contesto del Dharma Universale (Legge Cosmica).

La Sadhana di purificazione che va aggiunta a quelle che si sono sviluppate precedentemente, è il Dhyana.

L’Anandamayakosha è l’ultimo corpo, quello più sottile e in cui si evidenzia l’aspetto più Sattvico(puro, spirituale) raggiungibile. La sua natura è coscienza pura, pace e beatitudine assoluta (Ananda). Esso cela l’ultima barriera dell’ignoranza (Avidya) che ci divide dalla Coscienza Cosmica (Atman).


SAMTOSHA

Saṁtoṣa viene tradotto con il termine “appagamento” o “accontentamento”. Appagamento non è solo accontentarsi di ciò che si ha, ma è il rinunciare all’attaccamento alle cose che non si hanno.

Questo appagamento non equivale all’inerzia o mancanza di iniziativa, bensì è una condizione mentale positiva e dinamica. Si fonda sull’indifferenza a tutte quelle gioie, comodità ed altre considerazioni di indole personale che influenzano l’umanità. Lo scopo dello Yogi è il conseguimento di quella pace che ci pone completamente al di là del dominio dell’illusione e della miseria.


TAPAS

Il significato di Tapas combina in sé diversi significati, come purificazione, autodisciplina, austerità. Viene tradotto anche coi termini “calore”, ”ardore” prodotti attraverso le pratiche ascetiche e soprattutto la pratica della castità. Il termine racchiude molte pratiche il cui fine è purificare e disciplinare la nostra natura inferiore e sviluppare una ferrea volontà.

Nel senso ortodosso del termine, Tapas viene impiegato per certi esercizi specifici adottati per la purificazione, il controllo del corpo fisico e lo sviluppo della forza di volontà. Fanno parte del Tapas pratiche di digiuno, il silenzio, il Pranayama.


SVADHYAYA

Il termine svādhyāya è composta dalla sillaba Sva che significa “proprio” e dalla parola Adhyaya, che significa “studio”. Pertanto il significato attribuito a questo Niyama e “studio di Sé”. In senso più ristretto, è tradotto anche come studio delle Scritture.

Lo studio dei grandi pensieri di coloro che hanno raggiunto e trovato la Verità stimola la comprensione interiore e accresce la consapevolezza del Sé Supremo. Però non è possibile giungere a qualsiasi affermazione solo in virtù di una semplice, anche se profonda, comprensione intellettuale; infatti è lo studio di sé, attraverso l’introspezione e l’autoanalisi, che si possono realizzare tali affermazioni, perché la Verità non è raggiungibile attraverso un’azione mentale, bensì attraverso l’intuizione che emerge da uno stato di assorbimento in Essa. Per determinare questo stato concentrato di assorbimento è di grande aiuto l’uso dei Mantra come la Gayatri o il Pranava (AUM). Essi armonizzano i veicoli inferiori della coscienza (Kosha o corpi), li rendono sensibili alle vibrazioni più sottili, ed infine determinano una fusione parziale tra la coscienza inferiore e quella superiore.


ISHVARA PRANIDHANA
E’ tradotto con “devozione totale al Supremo”, o “abbandono totale al Supremo”.

Il significatoYogico più razionale che si prefigge  l’ Iśvara praṇidhānā, è che mediante la devozione si libera la coscienza dal condizionamento dell’ego, si dissolvono le barriere che separano l’io individuale dall’Io Supremo e si riconosce l’esistenza e la realtà dell’unico e indifferenziato Io o Assoluto.

L’ Iśvara praṇidhānā è uno dei mezzi che lo Yoga ci fornisce per rimuovere il velo dell’ignoranza. Esso ha lo scopo di dissolvere l’Asmita mediante la fusione sistematica e progressiva della volontà individuale con la volontà di Iśvara, il Puruṣa  Supremo.

La fede in questo contesto rappresenta la forza motrice che aziona la volontà e l’aspirazione, e con l’aspirazione raggiungiamo, attraverso un giusto travaglio di purificazione, di comprensione, di compassione e di amore, la percezione della realtà dell’Atman Pranidhana, o Assoluto, a cui veramente ci dobbiamo consacrare.



Gli Yama e i Niyama rappresentano una condotta di vita in cui la legge dell’astenersi e dell’osservare sono continuamente correlate e inscindibili. Si può senza dubbio affermare che essi sono delle regole universali, vecchie e precise quanto il mondo, da acquisire come virtù naturali, indispensabili anche al di fuori delle concezioni Yoga, per chiunque desideri veramente vivere nella pienezza delle possibilità umane.